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Slow fashion, cos’è e come funziona in Italia

Lento è meglio. È questa, in sintesi, la filosofia dello slow fashion, una realtà adottata come standard nel settore moda all’estero e ancora sconosciuta alla maggior parte dei consumatori in Italia. E dire che sul cibo, con Slow Food, il nostro paese ha fatto da pioniere. In generale, tutto ciò che è “slow” sta prendendo sempre più piede. Sono molti gli esempi nostrani in tal senso: Slow News, un progetto digitale di giornalismo e comunicazione che va contro a ogni tendenza arraffa click, lo slow tourism, un modo di viaggiare con mezzi ecologici che mira a valorizzare itinerari non di massa. Perfino la tendenza sempre più diffusa di praticare discipline quali yoga e meditazione si basa sul rallentamento dei ritmi di vita frenetici. Del resto, la mia nonna lo diceva sempre: chi va piano va sano e va lontano.

La mia personale teoria è che c’è un’età per tutto: io sono nella fase del rallentamento coatto, che corrisponde ai 40, perché durante i 30 si tende a correre così tanto che si rischia il coccolone a ogni accellerata. Il bello di fermarsi a prendere fiato è che puoi approfondire, studiare, informarsi. Ecco allora i primi risultati di ricerca su Google se si cerca “slow fashion”: articoli generici sul tema (e nemmeno di testate nazionali o di moda), un’intervista al presidente di CNA Federmoda e la pagina di CNA Torino slowfashionitalia.it. L’unica pagina Wikipedia sull’argomento è in inglese, compensata in italiano da un’ampia spiegazione data dalla Treccani. Il termine slow fashion racchiude, in pratica, il significato stesso di moda sostenibile ed etica.

Slow fashion, cos’è e come nasce

Ideatrice del movimento slow fashion è Kate Fletcher, che nel 2007, sull’esempio del movimento Slow Food e sui suoi punti cardine (buono, pulito, giusto), stabilisce i principi su cui si basa questo nuovo concetto di moda. Ho provato a riassumerli in punti.