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Cos’è la moda etica

Moda etica (credit: https://www.facebook.com/stellamccartney)
Moda etica (credit: https://www.facebook.com/stellamccartney)

 

«Settore del sistema moda che si propone di dare impulso allo sviluppo sociale e alla sostenibilità ambientale, nel rispetto dei diritti e delle condizioni di lavoro della manodopera impiegata». Così la Treccani definisce la moda etica. Ma cos’è, concretamente, l’ethical fashion? È un modo di pensare, fare e indossare una moda responsabile, che si preoccupa non solo di valorizzare e salvaguardare le eccellenze artigianali, ma di impattare il meno possibile sull’ambiente. Tre sono i parametri della moda etica: biologico, sociale e di recupero.

MODA ECOLOGICA

Chiamata anche eco o green, la moda ecologica è attenta alle materie prime e al ciclo di produzione: lo scopo è quello di produrre capi il meno impattanti possibile sull’ambiente e sull’uomo e di eliminare tutte le sostanze tossiche dalla filiera produttiva. Il che si traduce nell’utilizzo di materiali biodegradabili ed ecologici, e in un impegno concreto da parte delle aziende per produrre con sempre meno energia, meno lavorazioni e meno acqua. Gli abiti e gli accessori si possono definire eco friendly solo se non sono tossici e utilizzano fibre tessili lavorate in modo naturale, come il cotone organico, la seta biologica, la canapa, il bamboo e la lana biologica. C’è poi il filone della moda vegana, che in più non utilizza materiali di origine animale: bandite pellicce, vera pelle e prodotti testati su animali (che, per fortuna, sono sempre meno).

Tra i brand che si impegnano da tempo a produrre moda eco ci sono Valentino, Gucci, H&M, Zara, Stella McCartney. Ognuno a modo suo: c’è chi punta tutto sul vegan fashion (vedi Stella McCartney), chi alla moda eco (Conscious by H&M), chi alla riduzione drastica di emissione di CO2, come Valentino, l’azienda italiana più verde del 2013 secondo Greenpeace.

MODA SOCIALE

È la parte della moda attenta ai lavoratori, quella che lotta contro l’impiego di lavoro minorile e contro il lavoro sotto pagato. Il che si traduce sia in un impiego di manodopera locale (a dispetto delle sempre maggiori produzioni estere delle grandi aziende demandate all’estero, dove la manodopera costa pochissimo), sia nell’investimento a medio e lungo in manodopera nei paesi in via di sviluppo come l’Africa. È il caso di marchi come Antik Batik, disegnato dall’italiana Gabriella Cortese, e di Royah, progetto fondato nel 2005 dall’italiana Gabriella Ghidoni con lo scopo di dare autonomia lavorativa alle donne afghane. Negli ultimi anni è grazie anche a progetti come Fashion 4 Development  e a iniziative come #TheFashionDuel che la moda etica sta interessando anche i media e le istituzioni di tutto il mondo.

MODA DEL RICICLO

Riciclare non è solo un imperativo dettato dalla crisi: per molti è un modo per vivere attivamente la moda sostenibile. Ogni anno, tonnellate di prodotti tessili finiscono nelle discariche, eppure il 95% di tutto questo materiale potrebbe essere riutilizzato. Riciclare, nella moda, significa riutilizzare e riadattare capi vecchi, comprarne di usati e acquistare abiti creati con materiali di riciclo. E visto che vintage è bello (e fa tendenza), il riciclo fa rima anche con stile. Uno stile unico e creativo. Tra le iniziative nate per promuovere il riciclo, lo swap party è senza dubbio quella che ha preso più piede. Si tratta di eventi in cui ci si scambia abiti e accessori: un ritorno all’antica pratica del baratto, dove i soldi sono banditi dalle trattative. Un esempio banale: ho una borsa che vale ics, vedo un paio di scarpe che per me vale ics e avvio la trattativa per lo scambio. In altre parole, unisco l’utile al dilettevole: mi libero di capi vecchi o mai usati facendo shopping a costo zero.

Non possono mancare all’appello della catena virtuosa del riciclo anche i mercatini dell’usato e quelli dell’antiquariato, che nascondono vere e proprie chicche a costi irrisori; i sempre più presenti negozi dell’usato, in franchising o individuali, che stanno radicalmente cambiando il concetto di acquisti low cost. Insomma, a ognuno il suo, purché si ricicli.

 

 

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