Quando si parla di abbigliamento sostenibile per bambini vengono in mente capi con tessuti certificati, made in Italy e generalmente molto costosi. Per molto costosi intendo una fascia di prezzo medio-alta, che non tutti i genitori possono permettersi. Qual è la difficoltà di conciliare la sostenibilità con l’armadio dei bambini? La prima è la crescita: i bimbi crescono in fretta. Troppo in fretta. Il cambio di indumenti è continuo, in un circolo vizioso di lavatrici e vestitini che non vanno più bene perché sono diventati troppo piccoli. Con l’aggravante che più sono piccoli, più si sporcano e più crescono velocemente. Secondo l’Istat nel 2019 una famiglia ha speso in media 114 euro al mese per abbigliamento e calzature. Non sappiamo con esattezza quale percentuale sia stata spesa per i bambini, anche se un genitore può facilmente dedurlo.
La seconda variabile che incombe sull’armadio dei bambini è l’usura. Gli indumenti dei piccoli si sporcano molto più velocemente, soprattutto di macchie difficili da trattare. Erba, cibo, terra, urina, vomito: chi non ha mai avuto a che fare con queste macchie almeno una volta nella vita? Naturalmente, più i capi vengono lavati con frequenza, minore sarà la loro durata. A ciò si aggiunge la terza variabile, che è quella dell’imprevisto, ovvero tutte quelle situazioni in cui ago e filo sono indispensabili: un buco da rattoppare, un orlo da sistemare, un maglione fatto a mano da allungare.
Parlare quindi di abbigliamento sostenibile per bambini ha senso? Sì, se si fa una grande uso di indumenti usati. È pratica molto diffusa, infatti, tenere i capi dei fratelli o sorelle maggiori per quelli più piccoli. Così come lo è accettare scatoloni e borse ricolmi di abiti usati da parte di amiche mamme o amiche di amiche. L’abbigliamento usato per bambini è molto più diffuso rispetto a quello degli adulti: culturamente siamo più avvezzi ai capi usati per i bambini, rispetto ad altri tipo di usato.
Abbigliamento sostenibile per bambini fa rima con usato
Il vantaggio è prettamente economico: l’abbigliamento usato fa risparmiare davvero molto denaro, quando si tratta di bambini. Se non si hanno a disposizione parenti e amici come fonte di approviggionamento, non mancano i negozi su cui fare affidamento. Tra quelli più famosi in franchising ci sono Baby Bazar, Secondamanina, La Birba, Il Mercatino, Il Mondo delle Pulcette, che hanno sia una presenza capillare di negozi fisici in tutta Italia, sia gli shop online. In ognuno di essi si possono sia acquistare che vendere capi di abbigliamento e accessori e la qualità è garantita.
Ci sono poi marketplace su cui la compravendita viene gestita tra privati: per acquistare in modo sicuro è sempre bene stare attente ai dettagli e contattare il venditore per informazioni. Ecco un breve elenco: Subito.it, Facebook Marketplace, Vinted, eBay. C’è poi Armadioverde, che è una via di mezzo tra le due realtà: si spediscono gratis i capi da vendere senza l’incombenza di dover pensare alla compravendita e si può acquistare ogni tipo di indumento e accessorio a prezzi davvero economici.
Abbigliamento sostenibile per bambini, l’importanza della filiera
Abbigliamento sostenibile per bimbi significa anche acquistare capi certificati o la cui provenienza è sicura. Ad esempio, è meglio comprare una maglietta confezionata a mano da una sarta con tessuti di rimanenza che prendere la stessa maglietta in cotone organico in una grande catena di fast fashion. L’impatto del singolo capo confezionato da una sarta locale è decisamente inferiore rispetto allo stesso capo cucito in Bangladesh, con cotone organico proveniente dall’India e rifinito in Turchia. Quando si parla di sostenibilità, bisogna sempre considerare il quadro complessivo e il danno minore.